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Milan

 

Quattordici anni e il cuore pieno di paura, come il Nino della "leva calcistica" di De Gregori, Nello convinse il padre a mandarlo un anno a provare a Firenze. ''Papà mi mandava 30 mila lire al mese per farmi mantenere in casa dello zio Aldo, guardia forestale, che mi incoraggiò nei vari provini che sostenni con il Prato e poi alla Fiorentina. Ma finì che mi scartarono".

Bruciò quella bocciatura al piccolo Nello, ma lui aveva sette vite e si rimise in sella. Lavoro al mattino e allenamenti al pomeriggio nel Club Sportivo Le Cascine. Quando una mattina, ecco avverarsi il primo miracolo della sua vita: un talent-scout della zona che stava per partire con il solito “carico” di belle speranze, da sottoporre all’attenzione degli osservatori del Milan. Nello Saltutti finì tra i 400 aspiranti, ma non si smarrì. Sotto gli occhi vigili dei tecnici rossoneri si giocò fino all’ultima goccia di sudore tutte le sue chance di restare in Italia, ed evitare di finire in fabbrica o nelle miniere di Lussemburgo. "Ebbi la fortuna di giocare proprio sul campo dove stava Liedholm, che prendeva appunti su un taccuino". Era l’inizio di un sogno, e dopo tanta gavetta nella formazione Primavera finalmente il 15 gennaio del 1967 l’esordio serie A spodestando addirittura Sormani. Con la freddezza del veterano, entrò nel tempio di San Siro al fianco di Rivera. Quel giorno il Milan affrontava il Bologna, e lui, come tutti i talenti baciati dalla buona stella, andò subito in gol. 
"Mi ricordo che Amarildo fece un tiro che attraversò tutta l’area piccola e io mi avventai più veloce dei terzini bolognesi e misi dentro. Poi loro pareggiarono, ma quel debutto con tanto di rete, fece talmente rumore che alla sera Enzo Tortora mi volle ospite alla Domenica Sportiva. Tanti complimenti e persino un autoradio in regalo, quando non avevo neppure la macchina... Sarebbe stata una serata fantastica, se non mi fosse ingenuamente scappata una frase in diretta: 'Sorpreso? Beh io veramente sono uno abituato a fare gol'. Non l’avessi mai detto, Silvestri, arrivato nel frattempo al posto di Liedholm, mi aspettò al varco a Milanello e mi prese a calci nel sedere. Ai tempi, i giovani in prima squadra li trattavano così, mica come adesso. E poi inseguendomi minaccioso mi gridò: 'Tu sei un montato, da adesso in poi non giocherai più'''. 

Minaccia mantenuta, perché poi quell’anno disputò solo un’altra partita. Pessima replica. Alla fine lasciava Milano con tanti rimpianti, ma anche con un gol in serie A. 

(Tratto da Palla avvelenata - morti misteriose, doping e sospetti nel mondo del calcio di Fabrizio Calzia e Massimiliano Castellani - Bradipolibri)

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